C’è un’intelligenza «del cuore» di cui non si parla abbastanza. Ha davvero poco in comune con l’intelligenza artificiale che abbiamo cominciato a conoscere negli ultimi tempi: non si può programmare, non deve necessariamente sapere tutte le risposte né essere in grado di fare tutto ciò che le si chiede. Ma, ancora più dell’intelligenza artificiale, può compiere cose meravigliose. è quella predisposizione d’animo che muove gli ingranaggi del Camp. Non è un caso che Carl Benedikt Frey, economista dell’Oxford Internet Institute, autore di uno studio sul futuro del lavoro, includa il Terapista Ricreativo tra le professioni che non verranno mai intaccate dalla robotizzazione della società. Come lo Staff, i Dynamìci hanno l’intelligenza del cuore come un marchio. Al Camp, insomma, non vedremo mai, automi che aiutano i ragazzi a compiere l’arrampicata o che intonano la canzone del buon appetito in mensa. E questo per caratteristiche intrinseche e insostituibili. «Prima ancora che per l’empatia e per l’energia, i Dynamìci si distinguono per la volontà di stare accanto agli altri, anche senza parlare, anche senza compiere azioni eclatanti, semplicemente per “esserci”». Sara De Gennaro fa parte dello staff da tre anni, prima come Responsabile casetta, ora come coordinatrice dei volontari. «La formazione è necessaria, ovviamente, ma poi a fare la differenza è ciò che hanno dentro, qualcosa che non hanno studiato né programmato, quell’autenticità che permette loro di instaurare una relazione con i Camper. Del resto, se sei troppo impostato, con molte sovrastrutture, i bambini e i ragazzi ti smascherano immediatamente, non si fidano. è meraviglioso constatare come, in ogni sessione, si riescano invece a creare sempre degli incastri virtuosi tra Camper e Dynamìci di ogni casetta, pur nelle molteplici diversità caratteriali. Questo è possibile proprio perché ogni volontario esprime semplicemente se stesso, portando al Camp la propria unicità». Insomma, mentre le macchine devono documentarsi per dare risposte convincenti, i Dynamìci svolgono bene il proprio ruolo attingendo alla spontaneità. Solo così, spesso, anche i bambini e i ragazzi più pacati riescono a lasciarsi andare al divertimento. «La componente creativa è essenziale: ogni Dynamìco è disposto a reinventarsi adattandosi alle diverse situazioni. Se un bambino non desidera fare una certa attività o ha nostalgia di casa, entra in gioco il volontario che riesce a trovare la modalità giusta per intrattenerlo o fargli tornare il sorriso».
«Con un pezzo di carta e un pastello riescono a creare delle cose meravigliose», conferma Alessandra Mendola, mamma ospite con tre sessioni famiglia all’attivo assieme ai suoi tre figli. «Ricordo che in alcune occasioni rimasi a bocca aperta. Con semplici oggetti possono allestire anche uno spettacolo teatrale». A differenza dell’intelligenza artificiale, che non ha età, quella che abbiamo chiamato intelligenza del cuore è invece intergenerazionale. «è un valore aggiunto», continua Alessandra. «C’è il Camper che cerca nel volontario la figura dell’amico con cui scherzare e chiacchierare, c’è il Camper che ha bisogno di una figura più genitoriale, che lo coccoli, gli spalmi la crema solare e gli ricordi di indossare il cappellino. Ognuno trova nei Dynamìci il suo punto di riferimento». Età differenti, quindi, ma anche professioni e vissuti diversi. «Parlando con i volontari si scoprono vite diametralmente opposte: dal meccanico alla farmacista, dal single alla mamma, ma sono tutti accomunati dalla volontà di dedicare un po’ di tempo della propria vita ai Camper. Il loro entusiasmo è contagioso, fanno venire voglia di emularli. La prima volta ho pensato: “Allora potrei farcela anche io!”. E così, in seguito, sono tornata altre volte al Camp vestendo i panni della Dynamìca». Per un genitore la presenza di persone su cui fare affidamento ha un valore enorme: rappresenta qualche ora di relax, un privilegio di cui a casa molto spesso non si riesce a godere. «Ritagliare un momento per sé, e anche per la coppia, non è cosa da poco», conferma Alessandra. «Io e mio marito, per esempio, siamo sportivi. Qualsiasi attività ci proponessero al Camp volevamo partecipare. Persino il corso di Tai Chi, alle 7 del mattino. A Dynamo siamo riusciti a fare anche quello, insieme, grazie alla disponibilità dei volontari che all’alba si presentavano alla porta della casetta per stare con i nostri bambini, che allora avevano solo 7, 5 e 3 anni! Li aiutavano a lavarsi, a vestirsi e ce li facevano trovare pronti in mensa per la colazione. Non dimenticherò mai la loro gentilezza: hanno cercato in tutti i modi di venire incontro alle nostre esigenze per farci stare bene». «Non c’è nulla di preconfezionato in ciò che facciamo», conferma Paolo Marchi, 36 anni, Dynamìco di Imola. «Al Camp non puoi avere un copione da seguire, delle linee guida sì, però poi all’atto pratico, nel rispetto delle regole, devi seguire ciò che ti dice la pancia, l’istinto». Anche i volontari si lasciano sorprendere da questa esperienza: «Pur essendo sportivo, non amo ballare. Con grande stupore a Dynamo ho trovato i balli di gruppo un momento bellissimo e divertente, tanto che non vedevo l’ora di farli. Questo perché il Camp ti offre mille occasioni per metterti in gioco e soprattutto per imparare. Respiri il senso di uguaglianza e soprattutto tanta serenità: non vivi mai una situazione che abbia un risvolto negativo. Ho apprezzato molto anche l’approccio dei Responsabili casetta. Non è mai tutto bianco o nero. Ogni situazione si valuta, si capisce insieme come comportarsi», continua Paolo. «Ho portato a casa una sensazione potentissima. Ho vissuto come in un vortice di emozioni. E a distanza di alcuni mesi dalla sessione mi viene ancora la pelle d’oca quando ripenso a un ragazzo che all’inizio, a fatica, ammetteva: “Ok, dammi una mano a indossare le scarpe che non ce la faccio”. E poi alla fine della sessione mi ha abbracciato esclamando: “Sei un bravo Dynamìco!”». Insomma, se i volontari possono anche condividere l’approccio iniziale di un qualsiasi chatbot, che domanda sempre: “Che cosa posso fare per te?”, poi agiscono secondo sensibilità proprie. Ecco perché quando chiedi a Sara De Gennaro come sarebbe il Camp se un giorno arrivassero decine di robot al posto di centinaia di volontari, lei scoppia a ridere: «I bambini li smonterebbero all’istante, in tutti i sensi, e si metterebbero a giocare con i vari pezzi! Scherzi a parte, non sarebbe proprio possibile. La relazione, che è il motore di Dynamo, non è qualcosa di macchinoso, di freddo: è contatto, è sguardo, è calore. Tutto questo un robot non può darlo e non potrà mai darlo».