Per comprendere il significato più autentico delle cose non bisogna mai fermarsi alla superficie. Chi entra a far parte dello Staff Dynamo lo sa bene. Quando inizia a frequentare i corsi di formazione tutto appare improvvisamente più chiaro. Badate bene: nessuno deve studiare tomi di psicologia, né sostenere esami. Per “accendere la lampadina” basta semplicemente osservare alcuni video ripresi durante le quotidiane attività di Dynamo, esempi di vita vissuta. Ecco quali sono gli aspetti che emergono subito con evidenza: 1) Il ruolo primario dello Staff non è di mero controllore, ma quello di far divertire i Camper, divertendosi a sua volta. Se, per esempio, ci si trova davanti a un bambino che gioca a stare in equilibrio su un cubo morbido poco stabile, non bisogna precipitarsi verso di lui per farlo scendere, nel timore che si faccia male. Se può essere messo in sicurezza, si può lasciargli fare ciò che desidera in quel momento e, perché no, dondolarsi assieme a lui, divertendosi. 2) Il bisogno non è solo dove la disabilità è più evidente. Se i Camper apparentemente più bisognosi di attenzioni sono già sotto il controllo di uno o più Dynamìci, un ulteriore supporto sarebbe inutile. è opportuno allora osservare gli altri, quelli più silenziosi e appartati, provando a intercettare anche le loro necessità. 3) Per notare i dettagli, la collaborazione con il resto dello Staff è indispensabile. Confrontarsi con gli altri permette di amplificare l’attenzione e la sensibilità, di modificare conseguentemente i programmi relativi alla propria attività, ma anche il tuo comportamento, e così coinvolgere tutti di più.

Andrea Orlandini, formatore di Dynamo Camp, terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva, vicepresidente di Contesto ETS, permette allo Staff di approfondire questi e altri aspetti interessanti. «I termini Camper e Siblings rappresentano già di per sé una sfida», esordisce. «Ognuno ha le proprie caratteristiche, la propria storia, e noi, in qualità di caregiver, dobbiamo imparare a concentrarci sulla persona in quanto tale, non sul fatto che sia un Camper o un Sibling. Questo non è soltanto il nostro compito, ma anche una grande opportunità: quella di metterci davvero al servizio dell’altro, sintonizzandoci sui suoi bisogni e provando ad andare oltre le abitudini consolidate. L’abitudine, infatti, è certamente un valore, ma può trasformarsi in una trappola. Perciò, è indispensabile sapersi interrogare e rimettere in discussione tutto, per riuscire a buttare il cuore oltre l’ostacolo». Orlandini sottolinea poi l’importanza di essere autentici, una caratteristica indispensabile per infondere fiducia: «È ciò che fa la differenza, perché le persone a cui stiamo donando il nostro tempo e la nostra energia percepiscono se siamo veri oppure no. L’autenticità è un valore che dobbiamo maturare prima dentro di noi, nel nostro intimo. Questa attitudine a interrogarci sui bisogni degli altri, ma anche sui nostri ovviamente, ci è utile nella vita quotidiana, non solo quando rivestiamo un particolare ruolo: ci permette di instaurare relazioni più profonde con chi ci circonda e ci apre al valore della diversità. A volte i bisogni dell’altro, infatti, possono essere molto distanti dai nostri, ma non bisogna cadere nella trappola della competizione o della rigida distinzione tra giusto e sbagliato. Ci portiamo sempre dentro il retaggio della normalità, ancora fortemente radicato nella nostra società, che però è limitante. Se ci pensiamo un momento, chi può davvero definirsi normale? È questa la scintilla in grado di ribaltare il paradigma, trasformando la diversità da timore a valore autentico».

Grazie alla formazione lo Staff comprende anche che aiutare non significa necessariamente fare qualcosa. «I bisogni non sono semplici da decifrare», precisa Orlandini. «A volte ci viene richiesto solamente di offrire una presenza discreta oppure di stare in silenzio, non per forza l’azione. Bisogna chiedersi di cosa ha davvero bisogno l’altra persona, senza pensare che aiutare significhi intervenire sempre e comunque. Sia il fare sia il non fare possono avere lo stesso valore. Inoltre, non bisogna concentrarsi solo su chi sembra più bisognoso: spesso c’è qualcun altro, più defilato, che ha altrettanto desiderio di attenzione. La bellezza della neurodiversità è che ognuno porta con sé caratteristiche uniche: la responsabilità che abbiamo, prima come persone e poi come professionisti, è riconoscere che non serve avere una disabilità visibile per meritare rispetto e apertura mentale. Quindi, oggi il tema non è più di uguaglianza, bensì di equità: creare situazioni non identiche per tutti, ma condizioni che permettano a ciascuno di esprimere le proprie caratteristiche e avere le stesse opportunità. È un passaggio fondamentale se si parla di diversità e inclusione, sia nel mondo aziendale sia in altri settori. Ogni individuo, qualunque sia la sua condizione, ha diritto di essere accolto con attenzione, valori e attitudine positiva: è questo il mio credo».
